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Quando sono pochi conglomerati internazionali a controllare saldamente il bene comune della comunicazione e della produzione culturale, è a rischio la democrazia stessa. La libertà di comunicare che spetta a ciascuno di noi e il diritto individuale di partecipare alla vita culturale della propria comunità (come sancito nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani) non possono non indebolirsi davanti al diritto esclusivo assegnato dall’odierno copyright a un pugno di manager e investitori, guidati unicamente dai propri interessi ideologici ed economici. È invece necessario e possibile creare un level playing field, un terreno di gioco dalle pari opportunità, un mercato culturale aperto a ‘creativi’, ricercatori e imprenditori di ogni livello, dai singoli individui alle aziende Internet.
Oggi il copyright garantisce agli autori il controllo esclusivo sull'uso di un numero sempre maggiore di espressioni artistiche. Spesso non sono gli autori i titolari di tali diritti, ma le imprese culturali cresciute a dismisura, che controllano contemporaneamente la produzione, la distribuzione e la promozione su ampia scala di film, musica, teatro, letteratura, musical, soapopera, spettacoli, arti figurative e design. per tale motivo, queste imprese sono in grado di esercitare un vasto controllo su ciò che vediamo, ascoltiamo o leggiamo, sul contesto in cui ciò avviene, e soprattutto su ciò che non potremo vedere, ascoltare o leggere.
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