Oggi, chi fa educazione, tenta in qualche modo di costruire e trasmettere cultura, competenze e valori, si trova nella soffocante situazione di non possedere "maestri" e riferimenti fidati, rischiando così di adagiarsi in una quotidianità priva di prospettive, di slanci e di progettualità. Questo libro tenta di restituire, attraverso uno sguardo di insieme, la situazione della cultura dell'educazione e un primo provvisorio elenco di contraddizioni che contribuisca a rianimare un confronto e un dibattito sulle funzioni e gli spazi dell'educazione all'interno della nostra società.
Dalla Prefazione:
Introduzione di Luigi Monti
Teorizzare, pensare, progettare sono operazioni fondamentali solo se simantengono costantemente in rapporto con le pratiche, se si accompagnano all’azione, al ben fare. Al tempo stesso, poco può essere fatto bene che non sia supportato da un’analisi solida, da una riflessione condivisa che dell’azione sappia cogliere punti di forza, ambiguità, controindicazioni, connessioni al contesto. La pedagogia, che tanto avrebbe da offrire ad altri campi del sapere per quell’equilibrio fondativi di teoria e pratica condiviso, forse, solo con il teatro, rappresenta da tempo una delle zone più confuse di una cultura confusa.
Dagli anni ‘70 si può dire che, fatte salve rarissime eccezioni, non esistano più collane pedagogiche di rilievo. I nuovi titoli si dividono fra lunghe compilazioni di postille accademiche ed enfatici resoconti di esperienze “sociali”, magari intensamente vissute, ma di orizzonte teorico limitato.
Pedagogisti di professione e “scienziati dell’educazione” sembrano perlopiù impegnati nello sterile tentativo di “riabilitare” un campo del sapere storicamente vittima di un’aristocratica espulsione dalla cittadella della cultura “alta”. Operazione che peraltro conducono con le sole armi del tecnicismo e dello scientismo e che pare francamente più volta ad arroccare un ceto che a nobilitare un sapere. Complice di una situazione di fatto degenerata, cedendo senza condizioni ai media, alla politica e all’economia, il ceto pedagogico ha tradito la propria storia e il proprio ruolo che consisteva nel formare i futuri formatori con l’obiettivo comune di crescere individui liberi in una società libera.
Chi fa educazione oggi, chi in qualche modo tenta di costruire e trasmettere cultura, competenze e valori, si trova nella soffocante situazione di non possedere “maestri” e riferimenti fidati, rischiando in questo modo di adagiarsi in una quotidianità priva di slanci, di prospettive e di progettualità. E là dove mancano linee guida e punti di riferimento ideali, si insinuano con grossa facilità quelli che da tempo costituiscono i mali endemici dell’educazione: il tecnicismo, il corporativismo e gli ultimi scampoli di fragile e mutevole ideologia. Questo libro, frutto dello scambio di idee avviato da tempo fra alcuni collaboratori della rivista Lo straniero, tenta di restituire, attraverso uno sguardo di insieme, la situazione della cultura dell’educazione e un primo provvisorio elenco di contraddizioni che contribuisca a rianimare, anche attraverso i prossimi titoli di questa collana, un confronto e un dibattito sulle funzioni e gli spazi dell’educazione all’interno della nostra società.
La teoria e la pratica, il metodo e il contenuto, la politica e la didattica, lo sguardo molto ravvicinato e partecipe sull’uomo e quello molto allargato e analitico sul mondo e la società: il compito complesso e urgente cui sono chiamati oggi insegnanti, educatori, operatori sociali è proprio quello di tenere insieme questi diversi vettori. Calarsi senza sconti in una relazione educativa che, come sosteneva Lamberto Borghi, abbia nell’oggi e nella persona gli unici fini, ma allo stesso tempo osservare, pensare e intervenire anche a più ampio raggio, con l’occhio e la mente rivolti al mondo, alla società e al domani.