Un’impostazione rivoluzionaria dei metodi di cura dell’anoressia. L’autore – abbandonando la visione rigidamente circoscritta all’ambiente familiare, in cui la figura della madre viene fin troppo colpevolizzata – suggerisce a chi ha problemi di comportamento alimentare di praticare la danza. Danzare vuol dire usare in modo positivo le preoccupazioni alimentari. La danza può trasformare la malattia in qualcosa di sacro, perché implica la sublimazione di tutto ciò che è corpo, slancio vitale, desiderio, passione… Un’impostazione che non rinuncia, comunque, alla terapia psicoterapeutica, che viene integrata con la teatroterapia e la danza. I casi descritti nel volume mostrano come questa strada sia percorribile, e lo testimoniano le pazienti anoressiche che in seguito hanno intrapreso la carriera di danzatrici.
Interessanti e chiarificatori gli incontri dell’autore, riportati alla fine del volume, con personalità quali Carolyn Carlson e Leila da Rocha, ex-anoressiche e oggi ballerine di fama internazionale.