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Non c'è che un mezzo se vogliamo conoscere davvero noi stessi, le nostre capacità di andare oltre le false credenze e i pregiudizi: entrare nel cerchio magico dove, come in un antica veglia nella stalla, in una yurta o in una tenda tuareg contro cui soffiano venamente i venti del deserto, ci attendono persone che narrano le proprie storie e quelle, drammaticamente vere o leggendarie, dei loro popoli. E che vogliono ascoltare le nostre, per stupirsi e per stupirci, per ritrovare tratti comuni di cammino e modi simili o differenti di affrontare la realtà.
Ognuno porta con sé il suo nome e quello della comunità in cui è nato o da cui discende: Romeni, Ebrei, Albanesi, Italiani, Rom, Sinti o semplicemente Zingari, Islamici marocchini o tunisini; o Islamici europei. Tutti viviamo sullo stesso territorio comunale, nella stessa nazione, sulla stessa terra, trasportati dalla storia in cui ci siamo incamminati per necessità o per scelta e recando con noi un enorme capitale: la ricchezza della nostra cultura. Eppure molti tra noi, a causa del primo e più importante motivo di povertà al mondo, il pregiudizio, dopo aver tentato di sfuggire alla guerra, alla miseria, all'ingiustizia sociale e al razzismo, continuano a vivere nella sofferenza e nella separatezza di fronte all'egoismo materiale e spirituale d'una società impaurita e arida.
Ma una volta entrati nel Cerchio magico della narrazione di sé, possiamo aprire con i fiducia i nostri bagagli d'antichi viaggiatori, mostrare con orgoglio le nostre preziose storie e scambiarle con altri, per arricchirci vicendevolmente.
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