Una cesura separa la «prima antichità», egiziana, dalla «seconda antichità», greco-latina, ed è più profonda della linea di faglia che corre tra l’antichità tutta e la modernità. Constatarlo significa, per Jean Fallot, inoltrarsi in una visione del mondo che si sottrae alla categoria dell’anticipazione imperfetta: riguardo all’Egitto antico, non ha senso parlare di pre-filosofia, perché il pensiero che lo innerva non astrae dai domini specifici dell’esistenza sociale, ossia non si struttura in metodo di conoscenza, in conoscenza delle conoscenze.
Il punto di forza di questo saggio è riuscire a illustrare la pienezza di un universo mentale legato al sentire, più che al concepire – quindi diverso dal «miracolo greco» e dalla sua logica che ancora ci pervade –, senza occultare l’aporia di fondo, secondo cui è possibile trattare dell’Egitto solo «riferendosi alla Grecia e a noi stessi», anche se ciò comporta necessariamente «falsare il punto di vista».
Il «mistero», l’«enigma» (pensiamo alla Sfinge), «siamo noi a crearli»; al tempo stesso, «se non lo facessimo non comprenderemmo nulla dell’Egitto». Così «vediamo in uno specchio, in maniera confusa, ma riusciamo comunque a vedere qualcosa».