L’arte dei giardini è inseparabile dall’idea di rappresentazione: quest’ultima non è un’aggiunta posteriore, ma un elemento essenziale iscritto in lettere maiuscole nel grande testo della storia dei giardini. L’aspetto visivo e «parlante» rinvia in primo luogo alla qualità semantica, al significato dei giardini. Il giardino stesso è a un tempo rappresentazione e presentazione.
Rappresenta nel corso dei secoli e nelle più diverse tradizioni l’idea del paradiso, cioè una sfera trascendente e inaccessibile, il luogo per eccellenza esterno alla rappresentazione. Pertanto la reale presenza del giardino si riferisce visivamente e concettualmente a un invisibile mitico e lontano. Ogni rappresentazione, dallo schizzo al quadro, dalla fotografia al film, non è che un’approssimazione, una visione parziale.
Nessuna immagine sarà mai in grado di contenere la totalità del giardino, nessuna potrà essere esaustiva o veramente rappresentativa. In altre parole: ogni giardino è un mondo infinito che esige una serie illimitata di rappresentazioni che offrono allo stesso tempo troppo e troppo poco: troppo, per il loro carattere composito, perché l’immaginario è già intervenuto; troppo poco, per l’inevitabile parzialità. Ne deriva la necessità di superare l’immagine, di inscriverla in una cornice semantica, in una narrazione che si forma per narrazioni successive.