Un cane senza casa né padrone, un giorno, fece la sua comparsa nello stalag. I prigionieri, che sognavano l’America e gli americani, lo chiamavano Bobby e Bobby prese l’abitudine di salutarli abbaiando gioiosamente sia al momento dell’appello mattutino che al ritorno dal lavoro. “Per lui, incontestabilmente, noi fummo uomini.” Ma questo fragile conforto non era destinato a durare: in capo a qualche settimana, le sentinelle scacciarono l’animale importuno e “l’ultimo kantiano della Germania nazista” riprese il suo vagabondaggio.
L’idea di umanità, dimenticata dall’animale razionale, si attestava ormai soltanto nelle rumorose effusioni di un amichevole animale a quattro zampe, sprovvisto “del cervello necessario per universalizzare le massime delle sue pulsioni”. Questa è, nella storia dell’inumano, la vertiginosa originalità del XX secolo.