Le Leggi di Manu (databili fra il II secolo a.C. e il II secolo d.C.) sono un’opera indispensabile per accedere alla comprensione dell’India antica. La sua sacralità è tale che la tradizione la attribuisce a Manu, mitico figlio di Brahma, capostipite dell’umanità. Dagli Schlegel a Nietzsche, già nell’Ottocento molti avvertirono che si trattava di un testo fondatore della civiltà indoeuropea.
Con l’implacabile precisione della trattatistica indiana, che non arretra mai né di fronte al troppo grande né di fronte al troppo piccolo, le Leggi di Manu ci raccontano come si è formato il mondo e qual è il dharma, la «legge» che lo governa – legge insieme naturale e sociale, che ritroviamo nelle prescrizioni relative al sacrificio come in quelle che riguardano i «quattro stadi» dell’esistenza. Ma al tempo stesso siamo di fronte a un codice, che elenca i più svariati delitti e le ragioni per cui vengono condannati, permettendoci così di seguire in ogni dettaglio il modo in cui era articolata la vita nell’India antica.
A un secolo dalla celebrata e più volte ristampata traduzione di Bühler, inclusa fra i «Sacred Books of the East», Wendy Doniger ha proposto nel 1991 una versione del testo per molti aspetti innovativa, che unisce la trasparenza a una scrupolosa precisione.