A ispirare la vita e l’opera di Luce Irigaray è la ricerca di un futuro più giusto e felice per l’umanità. E lo intravede nella scoperta, teorica e pratica, di una relazione con l’altro nutrita di rispetto reciproco per le differenze, di un rapporto a due che conduce a una globalizzazione possibile e non distruttiva della soggettività individuale e delle culture.
Questo suo nuovo libro è un tentativo radicale di ripensare e rifondare la filosofia occidentale, scardinando le millenarie tradizioni sapienziali della nostra cultura. Un rifiuto tenace opposto a quei tecnocrati del logos che hanno trasformato, loro incapaci di «camminare sulla terra», la saggezza in sterile costruzione razionale e concettuale, appannaggio dei pochi iniziati di circoli intellettuali e accademici.
Al centro di questa nuova ricerca filosofica, non più gli aspetti mentali o cognitivi, ma uno sguardo concentrato sulla dimensione più concretamente intersoggettiva, sull’esperienza umana, sull’elaborazione di un discorso volto al «saper vivere» prim’ancora che al «saper morire».
Una saggezza, quindi, che prima di essere parola, sarà toccare carnale, conoscenza del cosmo come corpo e come universo, riconoscimento delle differenze irriducibili tra individui. Il nuovo filosofo sarà allora ben lontano da quel «dotto in Sorbona» che Irigaray, con tagliente ironia, descrive «mediocre compagno di vita: bambino in amore e amante dei bambini più che delle donne».