Questo è un libro di viaggi di una cronista culturale attraverso alcune idee del Novecento. Utopie non tanto nel senso di società ideali quanto intese come luoghi che possono esserci e ci sono, e che proteggono, nutrono le idee, i progetti e le speranze di mutamento del mondo. Luoghi-utopia che si possono visitare, conoscere, dove si può dormire e mangiare, con i cui ideatori, fondatori e portavoce ci si può confrontare direttamente. Piccole utopie. Non perché non siano importanti, ma nelle dimensioni. O se preferite si può semplicemente chiamarle sogni collettivi realizzati che in qualche modo ce l’hanno fatta. Il sogno di Tagore di un luogo diverso dove le classi, le razze e le religioni si fiancheggino ha lasciato il suo segno – parliamo di Visva Barati, l’università da lui fondata a Shantiniketan. Paolo Soleri non è (ancora?) riuscito a realizzare la sua città verticale da settemila persone nel deserto dell’Arizona – ma ad Arcosanti si respira un’aria di umanità diversa. A Yaddo, nel nord dello stato di New York, l’ideale di un’Arcadia dove gli artisti possano creare al di fuori delle preoccupazioni del mondo ha prodotto alcuni dei più straordinari risultati letterari di questo secolo. La Costa Rica ha rifiutato l’idea stessa di esercito e da cinquant’anni vive in una dolcissima pace tropicale. A Monte Verità, sopra Ascona, sede di una celebre comunità utopistica primo Novecento, si sono succeduti momenti di eccentrica libertà e di creatività straordinaria. A Nomadelfia, nata dalla generosità umana di Don Zeno, l’utopia evangelica ha trovato una realizzazione terrena che ha ancora una logica profonda e commovente.