Due grandi narrazioni si sono contese l’intelligenza del mondo in questi ultimi anni: l’americana “guerra al terrorismo” e l’esaltazione del martirio da parte dei jihadisti. Il panorama che ne deriva è desolante: ostaggi sgozzati in Iraq, prigionieri abusati ad Abu Ghraib o a Guantánamo, un’infinita scia di sangue da Gerusalemme a Kabul. Entrambi gli schieramenti, nei fatti, hanno perso la loro battaglia, combattuta rispettivamente in nome della democrazia e dell’islamismo radicale. Aprendo la strada al loro nemico comune, l’Iran, hanno anzi ravvivato un conflitto tra sciiti e sunniti che pareva sedato, sulle rive petrolifere di un Golfo sempre più crocevia degli equilibri mondiali. Con il successo di Hezbollah in Libano e la conquista politico-militare di Gaza a opera di Hamas, d’altro canto, i due obiettivi del piano di conquista americano – mettere in sicurezza lo stato d’Israele e controllare i mercati petroliferi – risultano più che mai una chimera. Come rompere il circolo vizioso del Terrore e del Martirio? L’unica possibilità risiede nell’Europa e nella sua azione politica.