La storiografia non è mai stata benevola con i «barbari». Noi europei di solito delineiamo lo sviluppo delle nostre società evocando alcuni momenti topici: la Grecia, Roma, il Rinascimento, l’età moderna, l’Illuminismo, la Rivoluzione industriale, per arrivare poi ai giorni nostri. Lungo questo percorso esiste un periodo che sembra costituire una frattura nel contesto del progressivo manifestarsi della civiltà. Sono i cosiddetti «secoli bui» dell’Alto Medioevo, seguiti alla caduta dell’Impero romano a opera dei «barbari», quei popoli che i tardi scrittori latini descrivono come invasori violenti, incolti, dall'identità incerta (e che noi, seguendo loro, abbiamo continuato a giudicare tali). In realtà le più recenti scoperte, soprattutto archeologiche, ci obbligano a un radicale ripensamento: esse infatti ci parlano di civiltà evolute e moderne, sia nelle condizioni di vita che nelle espressioni artistiche. A giudizio di Peter Wells l’età dei barbari segnò l’alba di un mondo nuovo, fu l’inizio dell’Europa che oggi conosciamo. Per la prima volta il baricentro del continente si spostò dal Sud mediterraneo al Nord dei celti e dei germani. Nuovi popoli e nuove tradizioni, fino a quel momento messi ai margini, si affacciarono sul proscenio della storia. E Roma fu sconfitta sul piano militare ma ancor più su quello culturale, perché le società barbariche si rivelarono più aperte, dinamiche e vitali...