Shamsuddîn Habîbullâh Mîrzâ Mazhar Jân-i Jânân (1699-1781) fu uno dei protagonisti della vita culturale e spirituale di Delhi in un periodo denso di calamità e disordini. Fu un poeta raffinato, un esegeta colto e profondo, un asceta e un maestro. La sua figura, tuttora largamente sconosciuta al di fuori dell’India, ha in realtà rappresentato una delle massime espressioni del Sufismo nell’epoca moderna. Le storie ci raccontano di un Mîrzâ Mazhar, figlio di nobili, che sin dalla più tenera età manifestò i segni di una profonda indole amorosa, tanto che egli stesso riconobbe che «l’inquietudine della passione e dell’amore è il lievito della mia natura». Fu discepolo dei più importanti maestri della Naqshbandiyya-Mujaddidiyya, fino a diventare sotto ogni aspetto l’erede del Mujaddid-i Alf-i Thânî, “Il Rinnovatore del secondo millennio dell’Islâm”, Shaykh Ahmad Sirhindî (m.1624). È quasi inevitabile, sfogliando gli scritti naqshbandî riguardanti gli aspetti metodici della via iniziatica, che ci si imbatta in qualche notizia riferita a Mîrzâ Mazhar e ai suoi modi di condurre i discepoli, di guarirli dalle malattie del corpo o da quelli interiori, di leggere in profondità nel loro essere più intimo.