La ricerca della vera identità dell'essere umano è stata da sempre l'enigma più segreto e indecifrabile fra tutti i misteri. L'approccio filosofico, psicologico e perfino teologico a questo orizzonte, ci provoca una sorta di esasperazione, un senso di impotenza simile a quello sperimentato da Agostino d'Ippona quando, mentre tentava di penetrare concettualmente nei misteri di Dio, vide il leggendario bambino che tentava di racchiudere l'oceano in un piccolo secchio.
I mistici sono sicuramente quelli che, tra gli uomini, rimangono maggiormente appagati nella ricerca del divino; eppure, ciò che manifestano sul segreto più grande dell'uomo, appare generalmente velato sotto un linguaggio simbolico. Sembra quasi obbligatorio usare quest'antico modo d'espressione quando si voglia rivelare a tutti qualcosa di insolito, che potrà, per altro,essere capito e svelato solo con l'aiuto di un libero approfondimento e della meditazione che ne consegue.
Come è noto anche nel Vangelo l'uso della simbologia appare, più che giustificato, voluto: "Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta « Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo»" (MT 13,34-35).
Lo zen si è sempre dimostrato estremamente attento a manifestare il non manifesto. Giocando abilmente col paradosso e trasmettendo senza tradimenti la vera essenza dell'insegnamento tramite Koan e, nel nostro caso, i disegni quasi umoristici del contadino e il bue, lo zen è un dito che punta la luna e indica, con imperturbabile sicurezza, quel mistero che è a mille miliardi di leghe al di là del dito.