Circa i due terzi delle esportazioni globali di armi negli anni 1997-2001 proveniva da cinque paesi membri del G8. Al primo posto di questa triste classifica figuravano gli Stati Uniti, al secondo posto la Russia, al terzo la Francia seguita da Regno Unito e Germania. E sono sempre i paesi del G8 a spiccare a livello mondiale tra gli Stati dotati di leggi e procedure amministrative inadeguate ad evitare l'esportazione, il transito e l'importazione di armamenti destinati a causare violazioni dei diritti umani.
L'ultimo conflitto in Iraq è stato in questo senso esemplare: nonostante l'embargo militare delle Nazioni Unite, diciassette aziende britanniche sono oggi sotto indagine per aver fornito all'Iraq tecnologie militari nucleari, biologiche, chimiche e missilistiche. Secondo un dossier ONU, 24 aziende statunitensi hanno venduto armi all'Iraq, comprese tecnologie nucleari e missilistiche, mentre la Germania risulta il principale partner commerciale militare dell'Iraq dopo il 1991, in aperta violazione dell'embargo deciso dal Consiglio di sicurezza.
Il rapporto di Amnesty International presenta un quadro aggiornatissimo della legislazione e delle politiche di esportazione di armamenti di Stati Uniti, Federazione russa, Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Canada e Giappone, indicando possibili strade percorribili per interrompere il circolo vizioso fra trasferimenti di armi e violazioni dei diritti umani. Nella parte conclusiva del rapporto, Amnesty International sostiene inoltre la necessità di negoziare un Trattato internazionale sul commercio delle armi, indicandone nel dettaglio potenzialità e punti chiave.