Questo testo formula una nuova teoria dell'ingiustizia e dei diversi modi in cui noi reagiamo ad essa - come attori e specialmente come vittime. Judith Shklar pensa che non sia possibile porre regole troppo rigide per distinguere tra giustizia e sventura, poiché tali definizioni non terrebbero sufficientemente conto della variabilità storica e delle differenze di percezione tra vittime e spettatori.
Dal punto di vista della vittima - di un terremoto o di una discriminazione sociale - una compiuta definizione dell'ingiustizia include non solo la causa immediata del disastro ma anche il nostro rifiuto di prevenire e poi di mitigare il danno, ovvero quella che l'autrice chiama ingiustizia passiva.
Da questa definizione più ampia e dal nuovo peso attribuito alla voce delle vittime, nasce l'appello a una maggiore responsabilità sia dei cittadini sia dei pubblici amministratori. I cittadini pur non potendo prendere sempre le decisioni più tollerabili a causa della pervasività, della varietà e della resistenza dell'ingiustizia umana, sono pur sempre coloro che hanno le migliori opportunità di farlo. Il senso di ingiustizia assume, così, rinnovata importanza poiché, se è vero che è ingiusto ignorare il risentimento personale, è altresì vero che è quanto mai imprudente sottovalutare l'aggressività politica in cui esso trova espressione.