È esperienza comune che le nostre relazioni di qualsiasi tipo vengano sempre più frequentemente intermediate da dispositivi digitali.
I legami interumani diretti lasciano il posto a mille forme di connessioni indirette e artificiali. Il marketing delle ‘internet company’ accompagna questa mutazione tecno-sociale con nuovi miti.
La potenza degli smartphone, le meraviglie dell’intelligenza artificiale, la panacea dei robot per alleviare le fatiche del lavoro, la rivoluzione dei big data e il paradiso terrestre dell’internet delle cose.
Un’assuefazione acritica maschera la nostra ignoranza sulle reali implicazioni di questa ulteriore evoluzione del capitalismo.
Facendo leva su narrazioni d’esperienza che non indulgono all’anestetizzazione del malessere, questo libro s’interessa delle implicazioni sociali dei nuovi strumenti digitali e del significato concreto che nella vita di relazione quotidiana, nella politica, negli stati di coscienza e nel mondo del lavoro espressioni come big data, profilazione predittiva, intelligenza artificiale, cloud, robot umanoidi, internet delle cose, vengono realmente a configurare.
Più in generale questa esplorazione cerca di mostrare come “progresso sociale” e “tecnologie digitali” non siano affatto sinonimi.
E anzi, come queste ultime innervino l’architettura di classe capitalistica invadendo e aggredendo dall’interno lo spazio vitale essenziale delle relazioni umane.
Ben oltre la società industriale, la società dello spettacolo e la modernità liquida, la società artificiale ci mette dunque di fronte al germe accattivante e vorace di un nuovo totalitarismo.
Un totalitarismo tecnologico che, a differenza di quelli ideologici del Novecento, invade e colonizza il luogo più “sacro” e fondamentale della libertà.
D’altra parte, una matura consapevolezza di questa estrema deriva può essere anche il punto di partenza per un’ulteriore rimessa in discussione delle classi sociali e del destino di specie.
Sapremo scegliere o ci accontenteremo di essere scelti?