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«“Che cos’è lo Zen?” ... “Non capisco” rispose un maestro. “Che cos’è lo Zen?”. “Il ventaglio di seta basta a farmi aria” rispose un altro maestro.
“Che cos’è lo Zen?”. “Lo Zen” rispose un terzo maestro».
Memore di questo ineffabile scambio (mondō), Daisetz T. Suzuki, massima autorità giapponese nel campo del buddhismo zen, dà avvio nel 1936 a una serie di conferenze in Inghilterra e in America, cimentandosi nella non facile impresa di illustrare al mondo occidentale la più indecifrabile e sfuggente delle dottrine orientali. E due anni più tardi, dopo aver profondamente rielaborato e perfezionato i testi approntati allo scopo, consegna con questo libro le chiavi di accesso a una mirabile tradizione religiosa, senza la quale sarebbe inconcepibile gran parte della filosofia, dell’arte e della letteratura nipponiche.
Fu infatti grazie alla pratica zen del satori – il risveglio o illuminazione – che ogni aspetto della vita giapponese assunse le forme misteriose di un’incessante ricerca del senso ultimo nascosto nell’esistente, di un’arte al servizio del potenziamento spirituale: la filosofia samuraica della spada, la cerimonia del tè, la pittura sumiye, il teatro Nō e lo haiku sono solo alcune delle vie attraverso cui lo Zen ci invita a una partecipazione etica ed estetica al mondo, percepito nella sua vacuità e impermanenza. Con uno stile in cui convergono lo spirito del monaco, del poeta e del divulgatore, Suzuki ridefinisce l’identità e l’evoluzione storica dello Zen – origini e influenze, scuole e maestri, princìpi e strumenti –, svelandoci quel vuoto originario in cui i grandi maestri seppero cogliere un barlume di eternità.
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