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Londra, 1918. Rinchiuso in una cella dell'affollatissima prigione di Brixton, qualcuno scrive: «È una disgrazia per l'umanità che si sia scelto di usare la stessa parola è per due idee completamente differenti». Chi poteva inveire contro un verbo mentre fuori stava ruggendo la prima guerra mondiale? Quell'uomo era Bertrand Russell, uno dei più influenti intellettuali del Novecento; in prigione Russell era stato cacciato proprio quell'anno per la sua attività di pacifista contro la partecipazione del Regno Unito alla guerra.
Questa frase, scritta durante la reclusione sulla base di una serie di conferenze tenute l'anno precedente, venne poi pubblicata nelle pagine della sua Introduzione alla filosofia matematica (Russell, 1919, trad. it. p. 192), un libro importante che il grande filosofo diede alle stampe l'anno dopo, una volta terminata la guerra e con essa la prigionia. Il che complica ancora di più la vicenda: cosa ci fa, infatti, un'invettiva contro il verbo essere in un libro di matematica? E di quali idee sta parlando Russell? È una storia lunga, una storia che parte almeno dal quarto secolo avanti Cristo, da quando Aristotele si era occupato del verbo essere nei suoi trattati.
Una storia che non si è mai interrotta: ha attraversato i duelli a suon di logica del Medioevo, è passata tra le battaglie del secolo dei grandi geni con l'esperienza dell'accademia di Port-Royal nel Seicento, ha influito sul grande disegno della mappatura dell'albero genealogico delle lingue dell'Ottocento per finire sul tavolo di un matematico nei primi del Novecento. In verità Russell non è stato l'ultimo a occuparsi del verbo essere, e il viaggio di questo verbo non si è fermato qui: dopo di lui altri ne hanno discusso, anzi, il dibattito è tutt' oggi vivo più che mai.
Ma che cos'ha dunque di così speciale questo verbo, capace di spingere Antoine Arnauld, il sacerdote giansenista dalla vita travagliata che ha ispirato uno dei più influenti testi della storia della linguistica di tutti i tempi -la grammatica di Port-Royal-, a scrivere che se le lingue avessero un solo verbo, questo, sarebbe proprio il verbo essere, l'unico autentico? E di questa storia che ci occuperemo qui. Cercheremo di smontare le preoccupazioni di Russell, mostrando che il verbo essere non è affatto ambiguo e che, in definitiva, non è poi questa disgrazia per l'umanità.
Ma permettetemi una premessa. Si dice che la «questione omerica» - il modo con cui ogni cultura ha proposto e risolto il problema della formazione dell' Iliade e dell' Odissea - sia una specie di filo rosso seguendo il quale possiamo sciogliere il bandolo di una civiltà ricavandone un'immagine rappresentativa, un «campione », per così dire, di essa. L'interpretazione del verbo essere è, in un certo senso, la «questione omerica della linguistica»: capire come ogni epoca ha interpretato questo verbo porta infatti a comprendere come è stato considerato nella sua totalità il linguaggio nei vari periodi che segnano la storia della cultura (occidentale).
Indice:
Solo una passione
Prologo
1. Essere e non «essere », owero i nomi del verbo
1. Il nome del tempo
2. Il nome dell'affermazione
3. Il nome dell'identità
2. Anatomia di una frase
1. La quiete prima della tempesta
2. Molecole di parole
3. L'anomalia della copula: l'asimmetria che non c'è
3. Lo strano caso dei verbi senza soggetto
1.La quasi-eopula
2. Essere e esserci
3. Grammatiche «non euclidee»: dove si tratta dell'ascesa e la caduta del postulato del soggetto
4. La teoria unificata delle frasi copulari
5. Il ci, ovvero «eppur si muove»
4.Epiloghi tra linguaggio e necessità
1. La forma della grammatica: tra linearità e gerarchia
2. La lingua nel cervello
3. Perdere e acquisire la copula
Congedo
Ringraziamenti Bibliografia Indice analitico
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