Un giorno una bambina in età da asilo mi propose un gioco: “Contiamo i rùmeni?” Io accettai e trascrissi mentalmente lo scambio di consonanti che poi andò ad arricchire una lista di “errori” infantili analoghi, dove erano già il cìmena, la cofaccia e il glorioso “salda navajo” che un’altra mia amica mi assicurava di aver adottato per buona parte dell’infanzia al posto del più comune e banale “salvadanaio”. Ciò che la mia inclinazione verso la lingua mi aveva lasciato appena notare è che - li si chiami numeri o rùmeni - contare può essere considerato un gioco, soprattutto prima che la scuola non trasmetta la visione istituzionale e fatalmente penalizzante di aritmetica e matematica...