Il 1° febbraio 1954, durante uno degli inverni più freddi del dopoguerra, l’Abbé Pierre rivolge un appello radiofonico ai francesi di buona volontà, avviando quella che fu definita l’«insurrezione della bontà» e la sua battaglia contro l’emarginazione e la povertà nelle nostre città e nel mondo. Cinquant’anni dopo, ormai novantenne, l’Abbé Pierre si rivolge alle giovani generazioni e le invita a una nuova rivoluzione, capace di assicurare all’umanità intera un’autentica prospettiva di futuro. Egli conosce i loro tormenti interiori e il loro desiderio di costruire qualcosa di duraturo e profondo, la loro difficoltà a ribellarsi a un modo omologato di vedere le cose e a trovare altre strade, i problemi concreti che assillano le famiglie, le ingiustizie che dividono il mondo e le società, e indica una rotta diversa.
Ognuno di noi, con il suo lavoro e il suo impegno, può costruire un mondo migliore, semplicemente facendo bene ciò che deve. Ma è anche necessario che si instauri un ordine delle cose più equo, che preveda una reale condivisione delle risorse e delle ricchezze. Il futuro dell’Uomo e della Terra dipende in buona misura dalla volontà di costruire giorno dopo giorno una più equilibrata convivenza tra ricchi e poveri, tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo. Solo questo ci consentirà di controllare i grandi spostamenti di popolazioni che assillano e mettono in crisi le nostre società ricche e fiorenti e che, senza una decisa sterzata delle politiche economiche mondiali, non potranno che intensificarsi.