Quelli contro la costruzione della Tav in Val di Susa e del Ponte sullo Stretto di Messina sono due casi assai significativi delle mobilitazioni contro la realizzazione di grandi infrastrutture (strade, inceneritori, aeroporti) che, in tempi recenti, sono divenute ben visibili e molto discusse in Italia e in Europa. Accusati di proteggere egoisticamente “il proprio orticello”, gli abitanti mobilitati in comitati e associazioni, insieme a centri sociali e gruppi ambientalisti, presentano invece la propria azione come una difesa di beni comuni e principi dal valore universale. Non si limitano semplicemente a dire “no”, ma elaborano anche proposte alternative basate su un diverso modello di sviluppo, promuovendo forme di partecipazione politica diretta e “dal basso”.
Definiti spesso come localisti, questi gruppi costruiscono al contrario reti nazionali e sopranazionali, utilizzando forme di protesta dirompenti e canali politici istituzionali, diventando essi stessi attori politici con cui i governi locali, nazionali e sovranazionali devono sempre più fare i conti. Ma chi sono gli attori mobilitati in queste proteste? Cosa porta in piazza quelli che spesso i mass media hanno descritto come masse variegate di sindaci e mamme, attivisti radicali e sindacalisti, preti e studenti? Perché rifiutano le “grandi opere” e quale immagine alternativa di progresso propongono? Il volume risponde a queste domande a partire da una ricerca sulle campagne di protesta contro la Tav in Val di Susa e il Ponte sullo Stretto, condotta con i metodi delle scienze politiche e sociali. Sulla base di interviste in profondità, analisi di documenti e rassegna stampa, gli autori danno “voce” agli attivisti, guardando al modo in cui le vicende pubbliche si intrecciano a quelle private, la politica alla vita quotidiana.