Per Saxl, come già per Warburg, l’astrologia (e l’iconografia astrologica) occupa un posto centrale nella storia della tradizione classica, poiché le antiche divinità, travolte come tali dal crollo del paganesimo, sono però sopravvissute nel Medioevo non solo come nomi dei pianeti (o dei giorni della settimana), ma anche come simboli di altrettante «essenze», e del loro influsso sugli uomini e la loro vita.
Il cristianesimo non aveva nulla da sostituire all’antico sistema astrologico, con la sua pretesa universalizzante di spiegare e prevedere i destini dell’uomo e il carattere di ognuno: tramandata (ma anche osteggiata) come una sapienza in sé chiusa e coerente, l’astrologia conservò quindi, quasi in un bozzolo, frammenti dell’antica scienza e dell’antica mitologia.
Le strade di questa storia, che Saxl ripercorre con magistrale dominio delle fonti e delle immagini più disparate, portano da Babilonia al Rinascimento italiano attraverso tappe molteplici, fra cui hanno un posto specialissimo i greci e gli arabi. Passando per luoghi e culture così diversi tra loro, le figure degli dei e delle costellazioni vengono in più d’un modo ripensate, e perfino stravolte, ma restano pur sempre riconoscibili e per così dire «pronte al recupero».
Da questa storia dell’astrologia, «firmata» insieme da Warburg e da Saxl, emerge un singolare paradosso: proprio mentre voleva presentarsi come un sistema fisso e immutabile ab aeterno (e proprio in quanto tale veniva tramandata e acquistava autorità), la «scienza» astrologica ha finito col funzionare per la cultura occidentale come un sensibile e fecondo deposito di memoria storica.