Siamo in tanti a domandarci come moriremo. Temiamo, giustamente, di terminare la nostra vita in uno stato di disfacimento inaccettabile, relegati in un letto, incontinenti, dementi. Abbiamo paura di diventare un peso per le nostre famiglie e per la società. Se siamo stati testimoni di certe situazioni penose, tendiamo a domandarci cosa sarà di noi e ci prefiguriamo gli scenari più drammatici.
Come morire? Come mantenere la nostra dignità fino all'ultimo? L’eutanasia è il solo modo per morire dignitosamente? Decidere di morire è un atto di coraggio? Significa prendere in mano il nostro destino? In realtà raramente ci si accorge dell’inferno che si fa vivere ai propri cari programmando la propria morte. Un sinistro conto alla rovescia, che terrorizza, che paralizza la vita e le relazioni. Una tristezza infinita. C’è un’altra risposta possibile a questo desiderio di essere protagonisti di una morte dignitosa. Avere il coraggio di vivere lo svolgimento degli eventi, anche quando si perde la propria autonomia. Affidare il proprio corpo infermo nelle mani di chi ci ama, vivere questo scambio difficilmente esprimibile in cui la vulnerabilità richiama la tenerezza dei gesti, in cui la fiducia reciproca genera un sentimento di dignità incomparabile. Se c’è libertà nell’anticipare la propria morte, nello sceglierne l’ora, se c’è nel rifiutare il proprio decadimento, ci sono una libertà e una dignità ancora più forti e ancora più belle nell’accettazione a occhi aperti della realtà.
Si può così trarre un grande insegnamento, non dalla morte ma dalla vita. Gli ultimi momenti della persona amata possono essere l’occasione per spingersi insieme il più lontano possibile, in un’intimità e in una profondità in certi casi mai raggiunte prima. Si crede di conoscere tutto dell’altro, ed ecco che in questi ultimi momenti emergono tesori di umanità. Nonostante le piaghe della malattia o della vecchiaia, l’essere umano ha ancora qualcosa da trasmettere.