Sergio Ramazzotti, a dieci anni dal successo di Vado verso il Capo, torna a scrivere di Africa. Un intimo rapporto di odio-amore lega l'autore all’Africa. Protagonisti assoluti di questo viaggio non sono i luoghi, ma le idee, le parole, i fatti, le credenze, la visione del mondo degli africani. Per le fonti, Ramazzotti si affida alle pagine di cronaca nera dei giornali locali e al sentito dire. Quel che viene fuori è un vero e proprio zapping tra aneddoti e racconti, che ci restituisce l’immagine di un’Africa caotica, vorticosa, disperata, colorata, cruenta, magica, incantata, vera. Ramazzotti riflette, con onestà e senza retorica, sul significato della parola “sviluppo”, sull’orrenda bellezza dello stato di natura in cui vivono molti africani, sul significato della morte a queste latitudini, sulla violenza.
Temi non nuovi – come le guerre interetniche, le giunte militari, le lotte per il controllo delle materie prime, l’Aids e la prostituzione, il conflitto tra cristiani, animisti e musulmani – vengono osservati dal punto di vista originale e scomodo di chi, nell’ultima decade, ha finito col trovarsi spesso a cavallo fra due continenti, preso fra due culture e costretto a non schierarsi a priori. Imperdibili sono i racconti di cronaca nera presi dai giornali o sentiti in qualche bettola, storie che parlano di truffe via e-mail (le famose e-mail che tutti riceviamo, che cominciano sempre con un “Dear Sir” e propongono improbabili tresche finanziare), di magia e stregoneria, di colossali o piccoli episodi di corruzione. Sono storie che disegnano un’Africa tra il post-moderno e il medioevale, feroce e incantata, popolata da troppi furbi e da troppi ingenui, come nei racconti di Boccaccio.