Avvincente romanzo di viaggio dalla prima all’ultima pagina, Mongolia percorre due continenti attraverso una scrittura fluida e coinvolgente. Il brasiliano Bernardo Carvalho, qui all’ottavo libro, ci regala una bellissima storia che, partendo dal suo paese, attraversa la Cina e la Mongolia, per poi fare ritorno al Brasile.
Come in un gioco di scatole cinesi, Mongolia è un’accurata opera di ingegneria letteraria che, nella finzione – ma su una base attendibilissima, frutto di un viaggio di due mesi – incastra tre diari, l’uno nell’altro: quello del primo narratore, funzionario dell’Ambasciata Brasiliana a Pechino, che ci descrive l’intera vicenda; quella del suo sottoposto, detto “l’Occidentale”, che per conto del governo brasiliano viene inviato sulle tracce di un fotografo disperso nelle terre di Gengis Khan; quello del fotografo brasiliano, inviato da una rivista turistica del suo paese e scomparso nel nulla dopo più di tre mesi di lavoro.
Lo svolgersi della vicenda, che finirà tragicamente – “l’Occidentale” e il fotografo non torneranno più a casa – è totalmente coinvolgente e non distoglie lo sguardo dal ricchissimo contesto culturale e geografico dell’ambientazione. Emerge una descrizione della Mongolia e della Cina quale ben pochi libri di viaggio hanno saputo dare. Ambientato ai giorni nostri, capace di dar conto di quell’infinità di contraddizioni fra passato e presente, tra Oriente e Occidente, Mongolia è il documento di un Brasile colto e moderno, sofisticato e attento all’arte, curioso verso tutto ciò che è diverso e che appartiene ai gironi “alti” della cultura: non il solito Brasile, dunque, del Sud del mondo, dei meninhos de rua o degli stereotipi letterari.