Pirsig si ripresenta con questo romanzo, che è un caso singolarissimo di rinnovamento e insieme di tenace fedeltà agli stessi temi essenziali. Questa volta non è la moto, ma la vela; La mente che agisce e racconta è tuttavia la stessa – e continua a chiedersi: che cos’è la qualità? Il destino viene incontro al protagonista sotto forma di una bionda poco raccomandabile che appare in un bar di velisti. È Lila: una donna dalla vita losca e ambigua; ma è anche lila, che in sanscrito significa «il gioco del mondo», quella fantasmagoria che Siva lascia accadere e per noi si confonde con la realtà stessa. Avere a che fare con Lila, così come avere a che fare con il «gioco del mondo», porta uno sconvolgimento inevitabile.
Come meravigliarsi se tutto ciò che riguarda Lila ha qualcosa di incongruo e beffardo, oscillando perennemente fra l’imbroglio e l’incanto? Come meravigliarsi se riflettere sulla qualità che è (o non è?) in lei ci porterà lontanissimo, fra gli Indiani d’America o fra i vittoriani, e anche vicinissimo, in quel cambiamento di umore atmosferico che segna il passaggio dagli anni Sessanta a oggi? Così Fedro, il narratore, sarà travolto da un turbine di eventi, sempre doppiato da un turbine di pensieri, toccando anche punte di deliziosa comicità o di terrore. Ma tutto, ancora una volta, varrà da occasione perché la navigazione proceda, sulla via già tracciata nel primo romanzo e che ora sfocia su nuovi paesaggi, là dove si tenta di dire, con il massimo della precisione e della trasparenza, che cos’è il Bene e che cos’è il Male.