Il filone oggi prevalente nel buddhismo occidentale, il cosiddetto ‘modernismo buddhista’, gravita attorno alla credenza secondo cui il buddhismo sarebbe superiore alle altre religioni per via del suo carattere intrinsecamente razionale ed empirico, o addirittura non sarebbe tanto una religione quanto una ‘scienza della mente’, una forma di terapia, una filosofia o uno stile di vita basato sulla meditazione. Evan Thompson propone un lucido esame di queste convinzioni, per stimolare un indispensabile dialogo.
Grande tradizione religiosa e intellettuale dell’umanità, nel corso della sua storia il buddhismo ha fornito un contributo fondamentale all’idea di società cosmopolita, arricchendo la sfera religiosa, intellettuale e artistica delle società pluralistiche in cui è stato accolto.
Certamente questa spinta è ancora oggi attiva, grazie ai praticanti e ai maestri arrivati dall’Asia e alle persone che si sono convertite al buddhismo in Europa e in America, dando vita a nuove comunità, nuovi rituali e nuove opere d’arte.
Ciò nonostante, il filone prevalente del buddhismo moderno, noto come "modernismo buddhista", è pieno di idee che gravitano attorno a quello che l’autore definisce "eccezionalismo buddhista", ovvero la credenza secondo cui il buddhismo sarebbe superiore alle altre religioni per via del suo carattere intrinsecamente razionale ed empirico; o ancora, la convinzione secondo cui il buddhismo non sarebbe tanto una religione quanto una "scienza della mente", confermata dalle recenti ricerche neuroscientifiche: una sorta di "buddhismo neurale" in cui l'"illuminazione" sarebbe uno stato del cervello, la pratica della mindfulness consisterebbe in un addestramento del cervello, e le scienze cognitive andrebbero a corroborare la visione secondo cui non c’è un sé.