Una riflessione profonda sull’inaspettato e drammatico ‘sintomo’ che ha colpito l’intera società umana a partire dal marzo 2020: il coronavirus.
Se il sintomo rappresenta in analisi la porta di accesso all’unicità del singolo individuo, estremamente illuminante diventa guardare al virus come al sintomo di tutta un’epoca, in cui una civiltà ammalata senza sapere di esserlo rischia di tralasciare la profondità e la pluralità del mare tempestoso e affascinante dell’essere.
Il sintomo diventa allora il portavoce di una singolarità che deve emergere al di sopra della paura di perdere la propria immaginaria incolumità.
Nella vita di ognuno, e nella relazione terapeutica, è necessario creare lo spazio per un altro ascolto: uno stato dell’anima grazie al quale ci si lascia intimamente scuotere e smentire dalle parole dell’altro.
Si tratta di un raro momento di pura precarietà dei reciproci pregiudizi e degli insidiosi gerghi del pensiero, dove può succedere che si risvegli in ogni individuo il soggetto addormentato della civiltà.