Ha poco più di vent’anni Friedrich Engels quando nel 1842 – giovane, ricco, borghese e comunista – parte per Manchester per impiegarsi nella ditta del padre.
Disgustato e rivoltato per quanto vede dentro e fuori le mura del suo cotonificio – la schiavitù nelle fabbriche, la miseria dei quartieri operai, la competizione per la sopravvivenza in ogni ambito della società –, scrive questo libro: il suo capolavoro, la ricerca che, ancora prima di Marx, inventa il materialismo storico e il marxismo.
Manchester è in quegli anni la fabbrica del mondo, uno dei luoghi di nascita del capitalismo: un nuovo tipo di città, dove uomini nuovi lavorano, abitano, soffrono e lottano in modo nuovo.
Relegati da millenni nell’ombra della società e della cultura occidentali, in Inghilterra i lavoratori irrompono sulla scena della storia.
Vengono descritti da tutti come le vittime impotenti e colpevoli di un destino individuale, senza alternativa né soluzioni.
Nelle pagine di Engels diventano invece la classe operaia, il protagonista collettivo di quella rivoluzione comunista che, nel bene e nel male, ha determinato le sorti politiche del Novecento.