Petruccio è un avventuriero che parte da Verona e va a cercare fortuna a Padova.
È giovane, forte, avvenente e assai dotato, e ha quella libertà di movimento che agli uomini è pienamente concessa nell’Italia immaginata da Shakespeare – così come nella sua Inghilterra.
E quale modo migliore di fare fortuna se non trovare moglie?
Moglie vuol dire dote.
Anche se brutta come il peccato, o scontrosa come la proverbiale Santippe, la donna assolverà comunque al suo compito, quando il padre-padrone la consegnerà al futuro sposo coprendola d’oro il giorno del matrimonio.
È così che Petruccio incontra Caterina, la quale non è affatto brutta, ma è senz’altro molto scorbutica.
Caterina è sorella dell’angelica Bianca, che tutti vorrebbero in moglie, ma che non potrà sposarsi se il padre non si sarà prima liberato di quella gattaccia selvatica che è Kate.
Si progetta dunque il matrimonio di Kate: Petruccio si arricchirà, Kate sarà addomesticata, Bianca potrà realizzare le proprie potenzialità di affettuosa e docile mogliettina.
Perché si arrivi all’happy ending, si dovrà prima attraversare in modo ironico e parodico la commedia della sopraffazione amorosa e sociale e sessuale e di genere, che nel rito matrimoniale si nasconde.
Con Petruccio nei panni del domatore e Kate in quelli della bisbetica da domare.
Ma attenzione, perché Shakespeare non accetta fino in fondo il modello comico che ha ereditato, e ci regala un finale assolutamente sorprendente.