Nel suo poemetto Beppo, scritto nel 1817, Byron si cimenta per la prima volta con l'ottava rima della poesia comico-satirica italiana, che riutilizzerà nel più tardo Don Juan.
Qui la voce narrante racconta la storia di Laura, una dama veneziana il cui marito Beppo è disperso in mare da tre anni.
Senza troppi rimpianti, lei si considera ormai vedova e prende come amante e cavalier servente il Conte.
Assieme al suo cicisbeo Laura va una festa di carnevale, dove viene ammirata per la sua bellezza da tutti e in modo particolare da un turco.
Questi non è altri che il marito il quale è stato fatto prigioniero e ridotto in schiavitù, poi liberato da una banda di pirati a cui si è unito convertendosi all'islam.
Adesso, da uomo ricco, è tornato dalla moglie e al cristianesimo. Senza falsi moralismi o ipocrisie, senza condanne della corruzione morale e della frivola vanità della società veneziana, la vicenda volge al lieto fine.
Non fa infatti scandalo l'adulterio della donna, che si era così consolata della lunga assenza del marito e che ora riprende la vita di prima.
Nemmeno il Conte risulta troppo amareggiato poiché ha trovato in Beppo un nuovo amico, ragionevole e privo di rancori.
Nel narrare di questa vicenda con levità di tocco e di tono Byron offre qualche consiglio ai viaggiatori e fa una serie di divertite digressioni sulle differenze tra un'Italia tollerante e in fondo amorale e un'Inghilterra invece di severi costumi.