“Una grande epoca esige grandi uomini. […] Oggigiorno si può incontrare per le vie di Praga un uomo trasandato, che non sa quanta importanza abbia avuto la propria opera nella storia di un’epoca grande e nuova come questa. Egli percorre tranquillamente la sua strada, senza che nessuno gli dia noia e senza dar noia a nessuno, e senza essere assediato da giornalisti che gli chiedano un’intervista. Se gli domandaste come si chiama, vi risponderebbe con l’aria più semplice e più naturale del mondo: ‘Io son quello Sc’vèik...’”
Con queste parole Jaroslav Hašek presentava l’umile e grottesco eroe del suo romanzo, il bonario allevatore e mercante di cani strappato alle sue pacifiche occupazioni e mandato a combattere in difesa dell’Impero austroungarico nella Prima guerra mondiale.
Preso nel vortice di avvenimenti che vanno molto oltre le sue capacità di comprensione, Sc’vèik si destreggia con un misto d’ingenuità e di furbizia, forte di quella sua obbedienza assoluta alla lettera degli ordini ricevuti che porta all’assurdo e dissolve nel ridicolo ogni autorità.
Nel buon soldato Sc’vèik i lettori di tutto il mondo hanno riconosciuto il campione di un irriducibile pacifismo e antimilitarismo e un simbolo dell’inalienabilità dei diritti dell’individuo contro ogni tutela e usurpazione dittatoriale.