È anonimo l’autore che, nel 1829, dà alle stampe questo piccolo, gigantesco libro.
Ma è inconfondibilmente Victor Hugo.
Sono anni in cui il progresso sembra trasportare l’umanità intera, sul suo dorso poderoso, verso un futuro di pace, prosperità, ricchezza e fratellanza.
Ma negli stessi anni si tagliano ancora teste davanti a un pubblico pagante, si marcisce in carcere, ci si lascia morire per una colpa non sempre dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio.
Hugo parla a nome dell’umanità, come sempre, e lo fa attraverso la voce di un uomo qualunque, di un condannato qualunque, di un miserabile che rappresenta tutti i miserabili di tutte le nazioni e di tutte le epoche. Un crimine di cui non conosciamo i dettagli lo ha fatto gettare in una cella.
Persone di cui non conosciamo il nome dispongono della sua vita, come divinità autoproclamate.
Un’angoscia soffocante lo tortura, giorno dopo giorno, e gli fa desiderare che il tempo corra sempre più veloce. Verso la fine dell’attesa, venga essa con la liberazione o con l’oblio.