E se gli uomini, come le donne, fossero da sempre vittime del mito della virilità? Per consolidare il proprio dominio sul sesso femminile, l'uomo, fin dalle origini della civiltà, ha teorizzato la propria supremazia costruendo il mito della virilità.
Un discorso che non solo ha determinato l'inferiorità della donna nella sua essenza, ma anche quella dell'altro uomo (lo straniero, il "subumano", il "pederasta"...).
È così che questo mito ha storicamente legittimato la sottovalutazione della donna e l'oppressione dell'uomo sull'uomo.
Questo modello dell'onnipotenza guerriera, politica e sessuale è da un secolo in piena decostruzione, a tal punto che certi spiriti nostalgici lamentano una "crisi della virilità" e accusano il femminismo di aver privato l'uomo della sovranità naturale.
In realtà l'emancipazione delle donne non ne è la causa.
La virilità è caduta nella propria trappola, una trappola che l'uomo, volendo rinchiudervi la donna, ha teso a se stesso.
Facendo del mito della superiorità maschile il fondamento dell'ordine sociale, politico, religioso, economico e sessuale, valorizzando la forza, il gusto del potere, l'appetito di conquista e l'istinto guerriero, l'uomo ha non solo giustificato e organizzato l'asservimento delle donne, ma si è condannato a reprimere le proprie emozioni, a temere l'impotenza e a biasimare l'effeminatezza, coltivando allo stesso tempo il gusto della violenza e della morte eroica.