«Io Cuauhtemoc, figlio di Ahuizotl, io Aquila-che-Cade, coluicheparla, re di Tenotichlan, capo della Triplice Alleanza, imperatore, undicesimo e ultimo signore del Messico, capo degli uomini…».
Chi parla è l’erede di Montezuma.
Aspettando la morte per mano degli spagnoli, l’indomito re, nudo ma avvolto da una divina luce verde che è «pace e gioia», chiama a raccolta le forze e la memoria per narrare la sua vita e il dramma di cui è attore e testimone: il crollo della società azteca.
Sfilano i ricordi: le durezze dell’infanzia e del collegio, le figure carismatiche della madre e del maestro; i sacerdoti e i potenti con le loro manovre, le feste e le solennità; l’eleganza delle vesti e degli ornamenti, lo splendore dei palazzi, dei templi, dei canali; le guerre «fiorite» e i sacrifici umani; le voci, i versi, le canzoni, le luci e le ombre, i foschi presagi e le crepe nell’edificio politico prima dell’arrivo dei bianchi, colpo di scena della storia.
E si rincorrono le domande: perché tutto cade come un castello di carte sotto l’urto di un manipolo di barbari?
È una fatale coincidenza quella dell’antica profezia che annunciava il ritorno degli dei esiliati da Oriente con lo sbarco degli Esseri – volgari, infidi, rapaci, affamati d’oro – sui lidi degli uomini?
E la spettrale inerzia di Montezuma, «malato di Dio»?
Era scritto, o c’è dell’altro?
Nel suo volo d’addio l’Aquila azteca rivede ogni cosa al ralenti per cogliere i più fini frammenti dell’enigma, planando ad ali distese verso il tragico finale.
Con L’erede di Montezuma, Coccioli tocca vette creative vertiginose.
Adottando l’ottica dell’indigeno – geniale esperimento copernicano – squaderna zone inesplorate di un universo meraviglioso. Infondendo vita e poesia ai sedimenti inerti della tradizione storico-antropologica, svela a sorpresa il volto innocente della maestosa civiltà degli Aztechi.