Rilettura delle favole antiche e rinascimentali, le «Fables» (1668-94) di Jean de La Fontaine racchiudono un intero microcosmo di situazioni e caratteri esemplificati dagli animali.
Come in Esopo e in tutti i suoi epigoni, l'intento è quello didascalico-morale; ma nei versi liberi di La Fontaine - qui resi in prosa dalla penna felice di una traduttrice-poetessa come Vivian Lamarque - gli accenti lirici e il piacere del racconto hanno presto la meglio.
Queste storie finiscono così per costituire una sorta di "commedia umana" del regno animale che unisce la verve di Molière alla saggezza di Montaigne, nella quale sempre più viva si fa l'insofferenza verso i vizi eterni dell'umanità - l'arroganza, la stupidità, la prepotenza - e sempre più accorato il richiamo a un epicureismo quasi sognante, nel nome dell'amicizia, della pietà e dei più schietti valori umanistici.