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Cosa vuol dire essere felici? Esiste un significato univoco per la parola “felicità”? La filosofia può essere d’aiuto per raggiungerla? E cosa possiamo fare concretamente per conseguirla? In un epoca caratterizzata da una dilagante “isteria da felicità” – come la definisce l’autore – occorre fermarsi a riflettere sul senso profondo di questa parola e sul rapporto che essa ha con il nostro modo di vivere e di relazionarsi con gli altri.
La riflessione di Wilhelm Schmid – filosofo tedesco molto noto in patria – parte da una sorta di classificazione delle molteplici modalità con cui questo concetto può e deve essere inteso: dalla felicità nell’accezione di fortuna, quella che ci sorprende quasi casualmente, alla felicità intesa come benessere, ossia vivere in maniera sana e armonica, fino a considerare la felicità come completezza, condizionata però dal suo essere fugace.
Ma per l’autore il vero significato, l’unico che alla lunga non ci procurerà frustrazione, consiste nell’intenderla come accettazione della vita nelle sue polarità negative e positive. Perché – sembrerà strano – in fondo la felicità non è la cosa più importante. Lo è piuttosto andare alla ricerca del senso profondo dell’esistenza. Per farlo, dobbiamo prima ricostruire quella rete di relazioni che oggigiorno tendiamo a trascurare: etiche, sociali, familiari (e anche noi stessi). Solo se troveremo il tempo per lavorare su questi rapporti riusciremo a conquistare una forma più compiuta e appagante del sentimento che siamo soliti chiamare felicità.
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