La malattia e la guarigione avevano, presso i popoli antichi e quelle popolazioni che fino a pochi secoli o decenni fa avevano mantenuto un modo d’essere simile a quello tradizionale, un senso differente da quello di oggi. Quelle genti erano probabilmente a conoscenza di tecniche, riti e comportamenti, forse ereditati da epoche talmente lontane che se ne è perso il ricordo, che permettevano di guarire dalle malattie senza il ricorso ai medicinali chimici oggi in uso, né alla chirurgia.
Gli antichi sapevano guarire con le sostanze naturali, con le erbe, con i canti magici, con la semplice azione analogica di quegli individui che, per l’opera di guarigione profonda, compiuta in primo luogo su se stessi, erano ritenuti insieme maghi e terapeuti. Alcuni di questi uomini e di queste donne, forse, erano addirittura in grado di guarire se stessi e gli altri, senza intervenire in alcun modo sul piano materiale.
La malattia infatti non era considerata, come invece si fa oggi, esclusivamente come qualcosa che riguardasse solo il corpo, e nemmeno solo la dimensione psicofisica dell’uomo, bensì l’integralità del suo essere. Evidentemente ciò presupponeva la credenza, e forse anche la conoscenza, di qualcosa che fosse radicalmente al di là non solo del piano materiale, ma anche di tutto ciò che è ego, personalità e mente. Attualmente tali concezioni della malattia e della guarigione sono del tutto ignorate e quasi sempre vilipese dalla moderna scienza ufficiale.
Esse sono relegate nell’ambito della superstizione e della magia, e sono considerate indegne di essere conosciute, se non come curiosità prescientifiche caratteristiche dei popoli primitivi. Ma forse i modi arcaici di combattere la malattia potrebbero, in certi rarissimi casi, funzionare ancora oggi. Il presente saggio, basato su quanto di tali conoscenze e di tali tecniche è giunto fino ai nostri giorni, magari sotto forme non facili da interpretare, ha l’intento di provare ad analizzare, secondo un metodo ipotetico, tali tecniche di guarigione.