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Per ognuno di noi il viso familiare del cosmo è il luogo che conosciamo. È attraverso le cose ordinarie del nostro quotidiano, nel luogo che chiamiamo casa, che il cosmo ci parla.
Raccontando delle pecore da governare, del letame da mettere sulla carriola, dei ladri nel pollaio, della legna da tagliare per il fuoco, della vita della giumenta bianca e di come morì alla vigilia del matrimonio di sua figlia Melissa, Etain Addey ci dice di fatto che le cose primarie della vita sono porte segrete di un mondo incantato, che la vita povera dischiude al mistero della natura e che uscendo dal sentiero battuto e avventurandosi per le stradine dimenticate e piene di rovi si entra davvero in un’altra dimensione. Per accedervi, però, sono indispensabili concretezza, rigorosità e il lavoro delle mani. Le trame qui narrate testimoniano che la magia non è finzione e che l’avventura non richiede lunghi viaggi e molti soldi: è qui, sotto gli occhi, a portata di mano, in casa nostra, nascosta nelle piccole cose, nella cura del luogo amato, campagna o città che sia. Il segreto è nel silenzio che permette di fare le connessioni fra il mondo esterno e il mondo interiore, che sono un solo mondo, vivo e aperto a un dialogo con noi. E l’interiorità del mondo – scrive l’autrice – aspetta con pazienza il ritorno a casa di noi tutti; aspetta che riprendiamo la conversazione interrotta. Se ci rivolgiamo al mondo, il mondo ci risponde nel suo linguaggio elegante e preciso, di corpi e di situazioni, e le sue comunicazioni sono sorprendenti e del tutto personali.
Sono venuta in Italia a vent’anni dalla nativa Inghilterra, alla ricerca di un qualcosa all’epoca non meglio precisato. Ho lavorato per dieci anni a Roma in una multinazionale farmaceutica come segretaria della direzione, diventando sempre più scandalizzata dalla mancanza di etica a cui spesso assistevo. A venticinque anni ho iniziato a girare l’Umbria in cerca di un posto dove poter vivere e alla fine ho trovato, sulle colline di Gubbio, un piccolo podere con un rudere come casa. Ho lasciato il lavoro e la città e mi sono trasferita lì. La bellezza del luogo e la gioia di questa vita hanno ripagato tutto: l’niziale ignoranza dei mestieri, la perdita della casa e la vita da sfollati dopo il terremoto, la costruzione della casa di legno, il freddo e il caldo, gli errori da contadina principiante commessi... Insieme al mio compagno Martino ho tirato su tre figli con il lavoro della terra, lasciandoli liberi di studiare sul posto. Insieme abbiamo fatto del nostro meglio per diventare indigeni del luogo che ora chiamiamo casa. Siamo soci fondatori del gruppo Sentiero Bioregionale e del mercatino locale. Sono autrice di due volumi – Una gioia silenziosa e Acque profonde – in cui racconto la vita nel e del mio luogo.
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