Meglio conosciuto, “Le Grand Jeu” occuperebbe un rango insigne nel coro dei movimenti d’avanguardia di questo mezzo secolo» scriveva Claudio Rugafiori nel 1967, presentando il primo degli storici «Fascicoli» pubblicati da Adelphi. Esso infatti «propaga un messaggio che ancora oggi può scuotere non poche abitudini di pensiero». È passato più di un trentennio, e questa affermazione suona più attuale che mai.
Nel periodo che va dal 1928 al 1932 il gruppo che si stringe attorno ai poco più che adolescenti Daumal e Gilbert-Lecomte intraprende una ricerca che, partendo da una lettura appassionata e radicale della Bhagavad Gita e dei maestri vedantici, lo condurrà a prendere le distanze dal surrealismo e dalle sue facili ricette e a perseguire, attraverso il superamento del limite e la liberazione dalle costrizioni dei sensi, una «caccia alla visione interiore». Fino al raggiungimento dell’ebbrezza, all’evidenza immediata di un sapere assoluto – in quel non-luogo astrale dove i contrari si annullano in quanto tali. Il loro coraggio, scrive ancora Rugafiori, fu «nel porre le domande, esserne garanti, tendere a una risposta esauriente, pagare di persona, fino in fondo».
La maggior parte dei testi raccolti in questo volume apparve negli unici tre numeri del «Grand Jeu» (inverno 1928, primavera 1929, autunno 1930); fra gli altri, le poesie di René Daumal (1908-1944) e Roger Gilbert-Lecomte (1907-1943), tutte con i testi originali a fronte, e la polemica con i surrealisti.