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L’educazione psicologica e medica che la persona riceve la pone raramente in grado di avvertire la malattia come “segnale” di un equilibrio pericolante, come provvidenziale avviso per ridestare la sua attenzione e rinunciare a qualche cattiva abitudine. In realtà, invece, proprio di questo si tratta. Un raffreddore, un mal di testa, un dolore di stomaco, ci dicono che stiamo passando il segno, superando il livello di guardia con il quale il nostro corpo si sta difendendo grazie ai mezzi che la natura gli ha dato. Il “sintomo” è una parola che il nostro corpo esprime per riavere finalmente la nostra attenzione. Perciò non dovremmo limitarci a prendere una pillola per far sparire il mal di testa, per ricacciare raffreddore nel sacco buio della nostra incoscienza, ma dovremmo soprattutto chiederci che cosa intenda manifestare questo raffreddore. Fare perciò un esame di coscienza che ci aiuti a scoprire dove abbiamo sbagliato, e che cosa dobbiamo evitare di fare per mantenere stabile il nostro equilibrio. Dunque, "guarire con l’amarsi” anziché con le pillole, con le erbe, con l’agopuntura o con altri strumenti, proprio perché — come la medicina psicosomatica suggerisce — tutti i tipi di farmaci hanno bisogno della collaborazione del malato, dell’ alleanza della sua psiche e del suo organismo. Hanno bisogno, in altre parole, del desiderio di guarire, della voglia di vivere, della possibilità di intuire che esiste ancora un futuro possibile, e che questo futuro ha in serbo per noi delle sorprese. L’esercizio dello Yoga ci può aiutare precisamente in questo senso. Ponendoci in contatto con il nostro seme più profondo, accompagnandoci in un viaggio entusiasmante all’interno di noi stessi, e da questa base ristrutturando le nostre relazioni con il mondo, la pratica dello Yoga ci aiuta a scoprire chi siamo, ad intuire che la nostra realtà vive ben oltre i limiti della nostra persona; ci strappa alla misera terra dei conflitti, delle somatizzazioni, delle inutili ansie, per diventare testimoni di ogni vicenda.
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