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Questo libro di Belov, è una forte provocazione schierata dalla parte del contadino russo, e perciò dei contadini del mondo, vista la centralità della madre terra nella lingua e nella civiltà della Madre Russia. Da quando uscì nel 1988 questo libro ha rappresentato il rifiuto della perestrojka, già arrivata e che già aveva cominciato la sua opera di distruzione. Nel suo scritto, l’autore denuncia la società industriale e la colonizzazione tecnologica dei campi, la città-megalopoli disumana, l’intelligencija modernista, cui contrappone con forza la campagna nella sua verità vocazionale inserita nella grande Russia. La sua forza espositiva ricorda Tolstoj, l’impegno e la dedizione per le radici contadine della cultura lo avvicinano ad un altro grande pensatore americano, Wendell Berry, di cui la Lef ha pubblicato la raccolta di poesie “La rivoluzione del contadino impazzito” (2009), “Il corpo e la terra” e “Il dono della buona terra”.
“Il mestiere del diventare estranei alla propria terra (il senso del titolo del pamphlet di Belov, pubblicato per la prima volta nel 1988) viene praticato in tutto il mondo, in Italia almeno dalla prima guerra mondiale ma in modo sfrenato negli ultimi 50 anni. Adesso che questa particolare forma di alienazione è diventata di massa esiste un numero crescente di persone interessate a leggere e capire questo fenomeno e se possibile trovare una via d’uscita da esso. A parte coloro che hanno cominciato a comprare direttamente dai coltivatori saltando il supermercato, si sta sviluppando un’atmosfera culturale che ancora non compare sulle pagine importanti dei giornali ma solo ogni tanto in qualche articolo di curiosità statistiche o di mercato e che cerca un rapporto forte con la propria terra.”
(dall’introduzione di Giannozzo Pucci)
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