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Questo testo dal titolo Gnosi. Nostalgia della Luce vuole fornire una ricognizione del pensiero gnostico e più specificamente dello gnosticismo cristiano, partendo dalla forma che esso assunse in un’epoca cruciale nella storia dell’occidente, quella dell’affermazione del cristianesimo nel mondo tardo antico. La gnosi e il pensiero gnostico esercitano da sempre un particolare fascino su chiunque si occupi di storia delle tradizioni, di spiritualità e, più in particolare, di storia dell’esoterismo. Tale fascino ha avuto come controparte il timore verso la gnosi e le dottrine gnostiche da parte delle grandi istituzioni religiose, timore sfociante immancabilmente nella demonizzazione vera e propria delle stesse e dei loro portatori, e infine in persecuzioni.
Indice
P. Vitellaro Zuccarello, Presentazione G. Rinaldi, Testi e documenti per la storia dello gnosticismo G. Lettieri, Della patologia del pensiero: note su Plotino e gli gnostici G. Biondi, Basilide e il Logos Giovanni C. Bonvecchio, Gnosi e politica: riflessioni
Recensione di Sara Anna Ianniello - 16/06/2012
L’agile volume curato da Piero Vitellaro Zuccarello, si configura come un buon punto di partenza per chi si accosta al difficile studio dello gnosticismo evidenziando, nei saggi presenti, non soltanto gli elementi principali ai quali il lettore deve fare riferimento per orientarsi nel vasto panorama di studi e opinioni in merito, ma anche spunti di riflessione sulla condizione dell’uomo contemporaneo. Sotto questo profilo, il saggio di chiusura, Gnosi e Politica: riflessioni, in cui Claudio Bonvecchio utilizza la categoria dello gnosticismo all’interno del panorama socio-politico odierno ne è una testimonianza.
Analizzando il rapporto tra la via ascetica di rifiuto e fuga dal mondo, rispetto a quella “libertina”, l’autore asserisce che: «Se la prima coincide con una sorta di allontanamento dal mondo, la seconda manifesta la volontà di disattendere ogni regola per distruggere, dalle radici, ogni forma di potere e, con esso, gli equilibri socio-politico-comportamentali del mondo» (p. 77).
L’autore, partendo dall’analisi della posizione di Vögelin, per il quale il nucleo simbolico dello gnosticismo è una storia secolarizzata (Cfr. E. Vögelin, La «scienza nuova» nella storia del pensiero politico, Guida, Napoli 1996, 104), sostiene che non è dimostrata una totale continuità tra movimento gnostico delle origini e movimenti rivoluzionari dei secoli moderni e contemporanei, anche se, non si può negare che il ‘900 abbia maturato un forte interesse per la gnosi, testimoniato da pensatori del calibro di Herman Hesse e del suo psicoterapeuta Carl Gustav Jung (Cf. W. Catalano, Carl Gustav Jung: l’ombra e la gnosi, Arianna Editrice, Bologna 2006) per il quale l’uomo deve operare una scelta radicale «che coincide con il ritrovamento di quella scintilla che esprime il Sé (la totalità dell’uomo interiore ed esteriore): ritrovamento a sua volta, che è un processo di formazione e di ritorno a quella totalità (il Deus Absconditus della Gnosi) rappresentata dall’inconscio collettivo» (p. 82).
Al di là di queste suggestive e importanti considerazioni, non è comunque cosa semplice definire entro certi paradigmi e con una certa sinteticità cosa sia quel complesso che definiamo “gnosticismo”: «E ciò non soltanto per la quantità e difficoltà di questioni particolari che lo studioso deve affrontare, ma per la perplessità stessa del fenomeno, e la serie di problemi generali, tutti collegati, che esso presenta», (A. Pincherle, Introduzione al cristianesimo antico, Laterza, Roma-Bari, 1988, p. 71). Partendo da tali considerazioni, e dalla difficile materia all’interno della quale ci muoviamo, il contributo di Rinaldi, Testi e Documenti per la storia dello gnosticismo, pone in evidenza che le considerazioni di Arthur Nock, uno dei primi studiosi che si sono interessati ad una definizione dello gnosticismo, sono antecedenti la scoperta della Biblioteca di Nag Hammadi in cui sono contenuti: «13 codici che ci trasmettono 53 opere delle quali ben 41 ci erano prima sconosciute […]» (p. 24). Un elemento innovativo del contributo di Rinaldi, che merita di essere sottolineato, riguarda invece l’accostamento, sovente utilizzato anche da tanta letteratura odierna, dello gnosticismo come eresia, il ché, tenendo conto della situazione politica e storica all’interno della quale ci troviamo, non è del tutto corretto. Rispetto al paganesimo, la forza dello gnosticismo consisteva, al pari di quella del cristianesimo, nella pretesa di offrire all’uomo religioso in cerca della Verità, gli strumenti validi per la conoscenza di se stesso e del mondo che lo circonda, nel tentativo di giungere ad una piena gnosi.
Stando alle considerazioni di Rinaldi, l’uso del termine eresia (dal greco, αίρεσις, scelta, e per accezione negativa, “scelta sbagliata”), non è del tutto adeguato in quanto: «il processo della completa definizione della dottrina cristiana era ancora per lunghi tratti in fieri, ma anche perché in alcune aree geografiche le posizioni che saranno poi riconosciute ortodosse, erano probabilmente minoritarie» (p. 10).
Ritorna in questo contesto, l’attualità della domanda di Filoramo: «Lo gnosticismo è un’eresia cristiana sorta all’interno delle controversie dottrinali e del dibattito teologico dei primi due secoli, […] ma il cui spirito affonda le radici nell’humus dell’annuncio evangelico? Oppure [una religione], la cui natura non aveva nulla a che fare con il cristianesimo, le cui origini correvano indipendenti, se non antecedenti rispetto allo stesso annuncio evangelico che anzi, come sembrava testimoniare il caso del Vangelo di Giovanni, avrebbe potuto essere influenzato?» (G. Filoramo, L’attesa della fine: storia della gnosi, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 18).
Quest’ultima considerazione in merito al Vangelo di Giovanni, permette al lettore il passaggio immediato al contributo di Biondi, Basilide e il Logis di Giovanni, in cui l’autore analizza il pensiero di Basilide, del quale abbiamo conoscenza soprattutto attraverso l’opera di Ireneo (Adversus haereses, I, 24,4) e di Ippolito (Refutatio omnium haeresium, VII, 14).
Quello che sappiamo con una certa sicurezza è che Basilide fu il primo grande gnostico del II secolo d.C., antecedente ai più noti Valentino e Marcione, e che con la sua opera: «sancì l’inizio del confronto con la filosofia ellenica e la religione cristiana e tradusse il cristianesimo in filosofia nello stesso modo in cui impostò il pensiero filosofico in senso nettamente religioso, sviluppando una teoria sapienziale con un indirizzo soteriologico» (p. 53).
Dopo averne ricostruito a grandi linee la dottrina, Biondi si chiede quale sia la relazione tra il Logos giovanneo e il Nous basilidiano. Sappiamo che la parola Logos, nella tradizione giovannea, rispetto a quella basilidiana, ha un valore decisamente notevole; ai suoi lettori infatti, l’evangelista vuole proporre un’idea di Cristo, singolare e profonda, annunciandolo come il Logos, la Parola eterna, in modo che: «ogni qualvolta che giudei o gentili si imbattono nella figura del Logos giovanneo, essi incontrano ora la persona di Cristo in un’interpretazione che non lascia adito a dubbio alcuno sulla sua reale divinità, e che quindi concordando sostanzialmente con la cristologia paolina, può nella sua formulazione concettuale aprire al Vangelo l’accesso ad altri ambienti», (H. Jedin, Storia del cristianesimo, vol. 1 Le origini, Jaca Book, Milano 2006, p. 156).
Richiamando dunque la preesistenza del Logos, la comunione con Dio e la sua divinità, Giovanni identifica il Verbo con la Parola personale che in un momento storico preciso si è incarnata nella persona di Cristo. Se dunque la tradizione a partire da Giovanni, aveva riconosciuto la persona di Gesù Cristo come preesistente alla Sua incarnazione e come divina e umana allo stesso tempo, Basilide pur riconoscendo l’antecedenza dell’ipostasi, se ne discosta intraprendendo: «una concezione di Cristo, come persona che precede (o anticipa) l’esistenza corporea di Gesù, in quanto nella sua dottrina il Logos è un’ipostasi, del Dio innominabile immediatamente successiva all’Intelletto» (p. 72).
Come appare chiaro anche al lettore meno esperto, i termini di cui si servono gli gnostici, sono di chiara ascendenza neoplatonica, sebbene come mostra il saggio di Lettieri, Della Patologia del pensiero: note su Plotino e gli gnostici, Plotino fu un accanito oppositore delle dottrine gnostiche, come testimonia lo scritto Contro gli gnostici, in cui dibatté a lungo con i membri appartenenti alla sua scuola: «C’erano a suo tempo numerosi cristiani, nonché eretici, che provenivano dalla filosofia antica e tra gli altri Adelfio e Aquilino, che possedevano parecchi scritti di Alessandro di Libia, di Filocomo, di Demostrato di Lidia e mostravano Apocalissi di Zoroastro, di Zostriano, di Nicoteo, di Allogeno, di Meso e altri simili. E così ingannavano molto ed essi stessi erano ingannati; e insegnavano che Platone non era penetrato fino in fondo all’essenza dell’intelligibile», (Porfirio, Vita di Plotino, cap.XVI).
Analizzando i capisaldi della dottrina gnostica, quali: la negatività della materia, il dualismo cosmico, il dualismo teologico, la dottrina della scintilla divina che è presente nell’uomo possessore della gnosi, la gnosi come elemento salvifico, Lettieri mostra quanto lo gnosticismo abbia ereditato dal neoplatonismo: «Semplificando, potremmo dire che lo gnosticismo eredita dal platonismo 1) la filosofia come pensiero dialettico dell’essere (pure dipendente dal metaontologico Uno-Bene); 2) la dialettica come legge di mediazione che – con una forzatura terminologica - possiamo definire “allegorica” tra i piani dell’essere» (p. 37). Rispetto a ciò, Plotino critica aspramente il cuore della dottrina gnostica del Deus patiens, di questo Dio che essendo Padre, necessariamente vive un momento di amore, di passione e di mancanza rispetto all’economia generale della sua paternità: «La passione generata da Dio in se stesso con la generazione del Figlio-Uomo comporta pertanto l’espulsione di una ‘parte’ di Dio da Dio stesso e la conseguente creazione di una realtà inferiore, il mondo […].
Nel mondo creato dal Demiurgo, Sophia e il suo seme eletto spirituale, sono costretti a patire, espulsi fuori dal pleroma della filialità […]. La passione di Cristo diviene così la rivelazione dell’intimo dinamismo di Dio, del Padre che si fa Figlio amato (pleroma) e Figlio perduto e morto; così come la resurrezione del Gesù storico può essere interpretata come redenzione, riunificazione nel pleroma della divina-umana Sophia, prima espulsa al di fuori del pleroma» (p. 42).
La critica di Plotino non è rivolta solo ed esclusivamente all’inconsistenza della dottrina gnostica nella sua accezione religiosa, ma essa analizza l’insufficienza e l’uso improprio della filosofia platonica del quale non hanno colto l’essenza genuina: «[lo gnosticismo] non è la religione di un Dio di sapienti che ricercano grazie alla filosofia, ma di coloro che raggiungono la pienezza di Luce misticamente, approfondendo in sé, in segreto, una prima illuminazione ricevuta da un rivelatore-salvatore» (G. Pagliarino, Cristianesimo e gnosticismo: 2000 anni di sfida, Prospettiva Editrice, Roma 2003, p. 8).
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