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Il testo originale del Peri phyton è perduto, e il trattato che leggiamo in greco, è la retroversione greca (anonima) condotta sulla traduzione latina, condotta a sua volta su una traduzione araba di una traduzione siriaca. Si distinguono cinque traduzioni (siriaca, araba, ebraica, latina, greca), su cui si basa la nostra conoscenza del trattato. Il Medioevo latino attribuisce quasi unanimemente il trattato ad Aristotele. L’attribuzione a Nicola di Damasco (un peripatetico vissuto nel I secolo a.C.) si è imposta con l’edizione della versione latina (di Alfred of Sareshel), curata da Ernst H.F. Meyer. Il trattato ha un carattere peculiare nell’ambito della botanica antica, in quanto affronta temi discussi principalmente in ambito biologico e filosofico: se la pianta sia un essere vivente, quale tipo di “anima” abbia, se sia capace di percepire, se i sessi siano in essa distinti, e in genere quali caratteristiche tipiche della fisiologia animale sia possibile riconoscere anche nella pianta. Esso ha costituito nel Medioevo e nel Rinascimento una delle fonti antiche più lette
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