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L’Adayatarakopanishat, è un testo di diciotto passi ora in prosa ora in versi che appartiene allo Suklayajur-veda ed è appropriatamente chiamata Adayatarakopanishat in quanto espone il metodo, ossia il taraka-yoga, che conduce all’esperienza del Brahman non-duale. Il darshan abbracciato da quest’upanishad è l’Advaita come esprime chiaramente la definizione del titolo, a-dvaya, “non duale”.
Lo yoga a essa inerente, definito come taraka, (lo strumento che fa attraversare l’oceano delle nascite e delle morti) mira al fine ultimo attraverso: l’elaborazione e il raffinamento della conoscenza discriminativa; la realizzazione di varie mete (laskshya) con la pratica della meditazione sui diversi elementi relativi, su spazi mistici, osservando le loro luci e i loro colori (Jyoti-mandala). Può l’onda esistere senza l’oceano o un piccolo raggio di luce nascere senza una luce infinita? Così lo spazio del cuore non può esistere senza lo spazio infinit.
L’Advayatārakopaniṣat è un testo che tratta essenzialmente dell’antarāṅga-yoga o yoga interiore. È di grande interesse per i praticanti l’esposizione del tārakayoga nelle sue due espressioni, il tāraka e l’amanaska. Amanaska significa “non mente”e suggerisce il principio che sta dietro lo yoga: quello di fermare, bloccare. “Ferma il corpo, ferma il respiro, ferma la mente”, tale è l’insegnamento sottinteso. Amanaska rispecchia energicamente la via soteriologica indiana della radicale rinuncia, nivṛtti, quando esorta all’abbandono di ogni cosa costruita dalla mente e alla pratica di amanaska. Il tāraka è suddiviso ulteriormente in mūrti e amūrti; questa terminologia trova una simile corrispondenza nelle definizioni di saguṇa- e nirguṇa- Brahman presenti nelle Upaniṣad. Il darśana abbracciato da quest’upaniṣad è l’Advaita come esprime chiaramente la definizione del titolo, a-dvaya, “non duale”. Lo yoga a essa inerente, definito come tāraka, mira al fine ultimo attraverso: l’elaborazione e il raffinamento della conoscenza discriminativa; la realizzazione di varie mete (lakṣya) con la pratica della meditazione sui diversi elementi relativi, su spazi mistici, osservando le loro luci e i loro colori ( jyotir- maṇḍala). S’incontra inoltre una succinta esposizione su kuṇḍalinī- śakti e brahma- nāḍī. Di grande interesse è la descrizione del vyomapañcakam; questa è una tecnica complessa che si sviluppa in varie successioni contemplative.
Tale meditazione ha origine, secondo la tradizione, nella corrente śaiva, del Śrī K ā śyapa Sampradāya. Vi sono scuole che hanno elaborato su questo tipo di meditazione, una serie arbitraria di tecniche che nulla hanno a che fare con l’originario dhyāna. Ogni vyoman è strutturato in cinque dhyāna per ogni “vuoto”, per 29 un totale di venticinque kriyā. Naturalmente troviamo in varie tradizioni procedure simili al vyomapañcakam o limitatamente a tre ākāśa, anche se interpretate in senso più ampio e inclusivo. Le tecniche relative al vyomapañcakam, come tutte le tecniche dello yoga, in particolare quelle introspettive, devono essere apprese direttamente da un Guru capace ed esperto e praticate sotto il suo controllo.
L’apprendimento improprio, il fai da te, è sempre pericoloso, e può portare a stati dissociativi, a patologie nervose o altro. I libri non possono mai sostituire un maestro vivente. Nel mosaico di tecnologie proprio di quest’upaniṣad dello yoga, viene data la giusta importanza anche a śāmbhavī- mudrā. Infine, la glorificazione del Guru viene succintamente ma incisivamente annunciata. È mio augurio che queste brevi ma grandi Upaniṣad siano accolte favorevolmente da tutti coloro che sono interessati alla spiritualità indiana. Il commento, con tutti i suoi inevitabili limiti, è una offerta umile e affettuosa nel fuoco della conoscenza. Come già affermato nella prefazione dell’Amṛtānādopaṇisat, il commento a testi quali le Upaniṣad dello yoga, deve mantenere lo spirito di queste ultime, ed essere indicativo, mai eccessivamente esplicativo essendo questi testi indirizzati a coloro che stanno già percorrendo la via spirituale. La mente sa, ma non sempre la parola rivela. (Paramahaṃsa Svāmi Yogānanda Giri)
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