L'autore in questo libro affronta il problema dei comportamenti che per un tipo umano differenziato si addicono in un’epoca di dissoluzione come l’la nostra. E “orientamenti esistenziali per un’epoca della dissoluzione” è il sottotitolo esplicativo che l’Autore stesso dettava per la prima edizione del 1961.
Il libro, però, venne pensato all’inizio degli Anni Cinquanta – per poi essere adattato allo svilupparsi della situazione contingente una decina d’anni dopo – insieme a Gli uomini e le rovine, che uscì nel 1953.
I due saggi dunque, non devono essere considerati in contrapposizione, ma viceversa come complementari. Per essi è possibile adottare la definizione che Evola diede per i suoi due libri sulla sapienza orientale, Lo yoga della potenza e La dottrina del risveglio: così, Gli uomini e le rovine è analogamente al primo l’indicazione della “via umida”, cioè della affermazione e della realizzazione in atto; Cavalcare la tigre illustra come il secondo la “via secca”, cioè quella intellettuale, interiore, personale.
Partendo da una decisa opposizione a tutto ciò che è residuale civiltà e cultura borghese, viene cercato un senso dell’esistenza di là del punto-zero dei valori, del nichilismo, del mondo dove “Dio è morto”. Il detto orientale “cavalcare la tigre” vale per il non farsi travolgere e annientare da quanto non si può controllare direttamente, mentre è possibile così evitarne gli aspetti negativi e forse anche ipotizzare una possibilità di indirizzo: esso quindi comporta l’assumere anche i processi più estremi e spesso irreversibili in corso per farli agire nel senso di una liberazione, anziché – come per la grande maggioranza dei nostri contemporanei – in quello di una distruzione spirituale.
Cavalcare la tigre può dunque venire considerato, come scrive Stefano Zecchi nel suo saggio introduttivo, quasi uno speciale “manuale di sopravvivenza” per tutti coloro i quali, considerandosi in qualche modo ancora spiritualmente collegati al mondo della Tradizione, sono costretti però a vivere nel mondo moderno.
Un libro complesso, fra i più importanti del suo autore, che durante gli anni della “contestazione” venne contrapposto alle opere di H. Marcuse. Un libro spesso anche oggetto di equivoci e fraintendimenti di due generi opposti: da un lato accusato di aver indotto molti a chiudersi in una torre d’avorio; dall’altro, viceversa, di aver spinto altri ad una lotta concreta e violenta.