Sono poche quelle leggende che hanno avuto così tanta fortuna nella poesia, nella musica, nell’arte di tutti i tempi, pochi personaggi si sono prestati alla rielaborazione in chiave filosofico-simbolica quanto il mitico cantore della Tracia. Quando l’adorata sposa, la ninfa Euridice, muore per il morso di un serpente, Orfeo sfida con la sua arte le potenze dell’Ade e ottiene di riportarla tra i vivi a patto che, durante il cammino, non si volti a guardarla in viso. Orfeo trasgredisce e si volta, perdendo Euridice per sempre. Nelle fiabe, ogni forma di divieto preannuncia l’esito fatale. L’antica leggenda di Orfeo ed Euridice narra la vicenda di una resurrezione impossibile; la conclusione è quindi scontata. Nelle successive rielaborazioni letterarie della storia, però, il punto focale non è più il divieto, bensì il gesto di Orfeo.
Perché Orfeo si volge a guardare, nonostante il divieto? Per troppo amore di Euridice o per eccessivo amore di sé? Da Virgilio a Bufalino il percorso è segnato da un progressivo disincanto: alla storia d’amore si sovrappone il mito del poeta, la cui musa si nutre, volontariamente e necessariamente, di assenza e lontananza, di dolore e di morte.