In un periodo remotissimo della preistoria, tra i sette e i cinque milioni di anni fa, accadde qualcosa dalla portata evolutiva incalcolabile: i nostri progenitori raggiunsero la postura eretta, diventando bipedi. Secondo la paleoantropologa Dean Falk ciò pose le condizioni per un altro, dirompente accadimento, le cui origini sono ritenute in genere molto più tarde, oltre che misteriose.
Si tratta della nascita del linguaggio, l’elemento distintivo dell’animale uomo. Al riguardo, Falk avanza una congettura rivoluzionaria ed estremamente suggestiva, che collega appunto bipedismo e articolazione dei suoni. Nella sua ricostruzione dello scenario primordiale protagoniste assolute sono le antiche madri e la loro prole.
Non avrebbero potuto raccogliere bacche, radici, erbe necessarie al sostentamento senza appoggiare a terra i piccoli, ormai incapaci di aggrapparsi a loro come invece continuava a succedere tra le scimmie antropomorfe. L’unico contatto con gli esserini inermi e piangenti rimaneva allora quello vocale.
Cercavano di acquietarli con vocalizzi, ossia rudimentali sonorità melodiche destinate in seguito a trovare affinamento e sviluppo nel protolinguaggio, ma sopravvissute fino a noi attraverso il maternese, la lingua universale dalle tonalità affettive e dalle modulazioni musicali con cui in tutto il mondo ci si rivolge ai bambini piccoli.
Falk ritiene questa «musica parlata» fondamentale non solo per l’apprendimento delle abilità linguistiche e per la maturazione emotiva e sociale; la sua analisi appassionata rivaluta l’interazione madri-figli anche per sfere diverse dell’espressione umana, il canto per esempio. Musica e linguaggio affonderebbero così nella notte dei tempi, quando accudire significava restare a portata di voce.