Guénon volle dedicare un libro a una questione matematica quale il calcolo infinitesimale, introdotto da Leibniz e poi diventato un pilastro della scienza moderna. Ma evidentemente riteneva che qui fossero in gioco problemi di altissima rilevanza.
Tralasciando gli aspetti pratici connessi al calcolo matematico – per lui «del tutto privi di interesse» –, Guénon si concentra sui princìpi che dovrebbero costituire il fondamento di ogni sapere particolare, e chiarisce nozioni che in realtà, in quanto passibili di essere trasposte analogicamente e di acquisire anche una valenza metafisica, attraversano l’intera sua opera: dal significato della serie dei numeri, dell’unità e dello zero alle fondamentali differenze fra l’«infinito» propriamente detto e l’«indefinito», fra il continuo e il discontinuo, fra la quantità e la qualità.
Guénon mostra come le difficoltà concettuali e i dubbi affrontati da Leibniz e dai matematici che dopo di lui si cimentarono con l’idea dell’infinito discendano dall’abbandono di quel rigore intellettuale proprio del pensiero metafisico che, in rapporto alla mera indagine empirica e razionale cui sono confinate le scienze moderne, rappresenta un «passaggio al limite» – rispetto al quale, secondo Paolo Zellini, anche le «formule del calcolo più avanzato non possono sempre dichiararsi estranee».